di Fabio Levi, Direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi
In questa mostra sono esposte figure realizzate in filo di rame, che sono opera di Primo Levi: è una sorpresa, è un qualcosa che pochi sapevano di lui, e che per la prima volta viene alla luce in forma ampia. Vale perciò la pena di seguire quel filo e riannodarlo alle immagini e ai ruoli di Levi che il pubblico conosce meglio.
Primo Levi testimone di Auschwitz: è questa l’immagine più diffusa dell’autore di Se questo è un uomo e di I sommersi e i salvati; perché già subito dopo il ritorno seppe raccontare con vivida immediatezza i luoghi e le condizioni dello sterminio nazista, perché non si stancò mai di ragionare e di far ragionare gli altri intorno a quell’esperienza, con i suoi libri o dialogando in prima persona.
Primo Levi testimone, capace di intrattenere un dialogo ininterrotto con le generazioni che sono venute dopo di lui; perché nei suoi racconti la cruda evidenza della verità ha saputo imporsi quasi senza mediazioni, perché l’attenzione posta nelle sue pagine alla dimensione etica dei comportamenti umani in condizioni estreme rimanda direttamente alle nostre scelte e alle nostre responsabilità di oggi, perché la “strenua chiarezza” delle sue parole ha coinvolto e continua a toccare nel profondo i tanti che oramai in tutto il mondo leggono le sue opere.
Tuttavia, per l’autore di alcuni fra i testi più importanti su Auschwitz, l’essere riconosciuto come riferimento ineludibile su temi così difficili è stato il risultato di un percorso lungo e accidentato. Per quasi cinquant’anni il mondo venuto dopo la seconda guerra mondiale ha prestato ben poca attenzione ai racconti degli ex-deportati, tanto che la paura maggiore di Levi, come di molti altri, era di non riuscire a farsi ascoltare. Addirittura, egli è giunto a temere (non senza buone ragioni) di contribuire, senza volerlo, a irrigidire l’immagine del Lager in forme stereotipate e dunque incapaci di mobilitare le coscienze. Era forte in lui anche la preoccupazione di essere considerato una sorta di professionista della memoria sullo sterminio, tanto così da diventare egli stesso lo stereotipo di sé medesimo.
Contro tutto questo, Primo Levi, forte di una acuta consapevolezza del proprio ruolo, ha fatto valere la ricchezza della scrittura. Ha inventato un linguaggio inedito per rappresentare e far conoscere i campi di sterminio al di là del loro tempo. Accanto al Lager e senza mai dimenticare gli strappi indelebili da esso imposti, si è poi misurato con aspetti molto diversi della condizione umana nella società contemporanea, raccontando le proprie avventure nell’Europa del dopo Auschwitz (La tregua), tracciando le propria autobiografia di chimico in un intreccio originalissimo di scienza e letteratura (Il sistema periodico), presentando il lavoro come una dimensione essenziale dell’agire umano e nello stesso tempo piena di straordinarie promesse (La chiave a stella), sorprendendo i lettori con i suoi racconti di fantascienza o con le sue scorribande nelle realtà più diverse proposte nei tanti articoli su giornali e riviste.
Ma anche qui non sono mancati gli ostacoli a un pieno riconoscimento. Questa volta, nel giudizio di tanti, era la figura preminente del Primo Levi testimone a stendere come un velo su tutto il resto, per l’importanza del contributo da lui offerto su Auschwitz e per la dimensione fuori misura dei temi che aveva saputo affrontare. Sono così occorsi molti anni perché, con fatica, ci si rendesse conto che la sua straordinaria capacità di raccontare il Lager e di far riflettere su quell’esperienza si accompagnava a un talento non meno eccezionale di scrittore; e che, anzi, proprio quel talento rendeva la testimonianza tanto più efficace e in grado di durare nel tempo.
Primo Levi testimone e scrittore: questa è l’immagine rinnovata che si è dunque affermata più di recente e che tende a prevalere. Con un rischio però: che si finisca per rimanere prigionieri di una ulteriore definizione, unilaterale e limitativa come tutte le definizioni. Non è un caso se molti studiosi di varia sensibilità e di diverse competenze hanno mostrato di voler contrastare un tale pericolo, impegnandosi ad attraversare le opere del testimone e dello scrittore lungo itinerari spesso inconsueti, tali da portare alla luce pensieri in divenire, riflessioni arricchitesi nel tempo su questo o quel tema. Il lavoro dello scrittore torinese si è sviluppato infatti secondo un percorso di progressiva maturazione, ed è di grande interesse coglierne i passaggi successivi così come l’interscambio continuo fra i molti fronti tematici da lui tenuti aperti contemporaneamente.
La mostra cui è dedicato questo catalogo è un modo ulteriore e del tutto nuovo per procedere nella medesima direzione. Ad offrire l’opportunità di realizzare una simile iniziativa è stato lo stesso Levi, con i suoi manufatti in filo di rame smaltato e in altri materiali. Di essi si offre al pubblico una piccola raccolta rendendo possibile, una volta tanto, mostrare l’attività di pensiero e il procedere creativo del testimone e dello scrittore non già attraverso il ricorso di altre parole, sempre e solo con le parole, ma per il tramite di oggetti, quasi impalpabili nel loro alto livello di astrazione, ma pur sempre di oggetti.
D’altronde, è stato lo stesso Levi a sottolineare, a proposito dell’amico Sandro Delmastro protagonista di uno dei racconti del Sistema periodico, quanto sia impresa disperata rivestire un uomo di parole. E dunque, per parlare proprio di Primo Levi, tenuto conto della difficoltà a tracciarne un ritratto ricco delle necessarie sfumature, perché non approfittare anche di quegli oggetti così inconsueti? Di sé egli diceva di essersi impegnato per tutta la vita a cucire molecole e a cucire parole. Ebbene anche delle figure presentate in mostra possiamo dire che siano state il frutto di una ulteriore forma di “cucitura”, compiuta direttamente con le mani, capaci caso per caso di adottare soluzioni di assemblaggio, di costruzione, di cucitura appunto, adeguate allo scopo; in grado addirittura di inventare un linguaggio specifico utile a produrre oggetti dotati di una loro coerenza indiscutibile.
Le figure si mostrano al visitatore dotate della leggerezza e della mutevole versatilità dei pensieri, lasciati liberi di interagire con altri pensieri, dell’autore o dello spettatore, nel fluire dei più svariati percorsi mentali. Pensieri inventati e costruiti con piacere e quasi con allegria, nel rispetto però di precise regole compositive: le regole autoimposte di un gioco appassionante e gratuito.
Figure realizzate con materiali ben noti al chimico e all’uomo: in primo luogo il filo di rame, già entrato nella consuetudine famigliare attraverso l’esperienza lavorativa di Cesare Levi, padre di Primo, nell’Ungheria di inizio Novecento; un materiale, il filo di rame, che Primo avrebbe ritrovato alla SIVA, nel suo lavoro di chimico delle vernici.
Figure chiamate, più che a rappresentare, a evocare in versioni allusive, ambigue e divertenti, – e in molti casi a presentare in una luce diversa ricca di riflessi imprevedibili – oggetti fra il reale e il fantastico già presenti in varia forma in molti luoghi dell’opera letteraria. Figure dunque ben radicate nella cultura e nella immaginazione dell’autore.
Ma la sorpresa che queste figure arrivano a suscitare nell’osservatore, come succede con ogni pensiero ricco di rimandi e sfaccettature difficilmente percepibili a un primo sguardo, non sta solo nella lampante originalità di ognuna di esse. Sta anche nelle tante suggestioni che in modo non semplice da definire ne hanno influenzato l’ideazione e la realizzazione. Nella mostra, a quelle suggestioni è dedicata una sezione apposita. Senza alcuna pretesa di completezza; al contrario, si tratta di pochi “campioni” che tuttavia, nella loro varietà, fanno emergere un sostrato complesso, stratificato e in continuo fermento. Si tratta dei giochi matematici e scientifici che Levi amava inventare e praticare, degli esperimenti a volte paradossali, a volte impossibili, su cui esercitava la sua intelligenza e le sue mani; si tratta, ancora, dei suoi interessi, curiosità e passioni negli ambiti più inattesi, che hanno attraversato la sua vita e la sua opera.
Si allude, qui, certo, alla vita e all’opera del testimone e dello scrittore Primo Levi, ma anche alla vita di un uomo che, per vocazione e per scelta, aveva troppa considerazione di ogni forma dell’agire umano – di tutti, anche di quelli solitamente ritenuti minori – per confinarli, svalutandoli, in sfere rigidamente separate. Così, il filo di rame che domina in questa mostra è anche il filo di un sentiero, di un percorso che ci porta lontano.