di Gianfranco Cavaglià, Architetto e curatore dell’allestimento
1. Figure in filo metallico, prevalentemente di rame
Nella quarta di copertina dell’antologia Ranocchi sulla luna[1] è riportata una dichiarazione di Primo Levi:
Se potessi, […] mi riempirei la casa di tutti gli animali possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli ma anche per entrare in comunicazione con loro. Non farei questo in vista di un traguardo scientifico (non ne ho la cultura né la preparazione), ma per simpatia, e perché sono sicuro che ne trarrei uno straordinario arricchimento spirituale e una compiuta visione del mondo.
È una dichiarazione esplicita di interesse per gli animali, che ritorna spesso nei suoi scritti, e altrettanto spesso Levi si riconosce nella figura mitologica del Centauro, che cita per indicare la propria duplice identità di chimico e scrittore, testimone e narratore[2], ma anche per sottolineare la propria natura di animal e di homo, nonché la compresenza, nell’animo, d’impulsi razionali e irrazionali. Oltre a manifestare interesse per gli animali, è probabile che quella dichiarazione alluda anche a un’attività che Levi ha avviato fin dagli anni cinquanta: realizzare un piccolo zoo casalingo – inanimato, ma vivo – a beneficio dei familiari, da estendere sotto forma di doni a una cerchia di amici.
2. Gioco, evasione
La mostra delle Figure di Levi, note a pochi e in gran parte del tutto inedite, apre un nuovo punto di vista sulla produzione di questo scrittore chimico: lo stratificarsi delle sue invenzioni ha riservato continue sorprese nel corso degli ultimi anni, ed è possibile che ne riservi altre ancora in futuro.
«Evasione» e «gioco» sono le espressioni, pertinenti, che immediatamente suscitano le Figure di Primo Levi, quasi a supplire le motivazioni d’autore, mai esplicitate in maniera compiuta. Ma il gioco, si sa, è «una cosa seria»,[3] e da questa produzione la serietà del gioco risulta ben confermata. I momenti di evasione, di gioco, la libertà all’interno del rigore (si pensi al classico Les Jeux et les hommes di Roger Caillois), il darsi a una reiterazione continua per migliorarsi, il cercare regole per poi modificarle, sono impulsi necessari. Il momento del gioco è quello della concentrazione, della progettazione, del pensiero che, svincolato dalle contingenze, si sente libero di spaziare in altre dimensioni.
La formazione letteraria e scientifica di Levi è lo sfondo di una concreta curiosità per i processi produttivi e costruttivi, che sono ampiamente trattati (e che a ogni nuova lettura riservano nuove scoperte), nel Sistema periodico e nella Chiave a stella, opere modulari dove, attraverso le esperienze dei loro personaggi, Levi ci descrive il passaggio e le trasformazioni della produzione nel corso dei decenni, e l’evolversi di una società tradizionalmente artigiana in quella industriale, in progressiva espansione.
All’orgoglio del saper fare, che è proprio dell’artigiano, i personaggi di Levi, così come Levi stesso nel ruolo di autore-protagonista, uniscono qualità umane di libertà, di autonomia di giudizio, d’indipendenza, di capacità nell’assumersi responsabilità dirette, spesso trascurate in un settore produttivo che è in rapida trasformazione e che tende sempre più a frazionare e disanimare il lavoro.
Di qui la manualità diretta, il lavoro con le mani, per trasformare un semilavorato malleabile e con piccole attrezzature, pinze di piccole dimensioni, in grado di fare presa sulla materia per piegature che richiedono deformazione del filo, e tronchesine per tagli precisi.
Conoscenze e abilità che diventano comportamento responsabile del saper fare, che crescono con la lenta acquisizione del mestiere, nel rispetto dell’etica del magistero, attraverso una competenza che trova le proprie radici nell’abilità manuale. La mano non è solo un’attrezzatura operativa, ha un’interazione diretta e continua con il cervello, e le due mani insieme, in coordinazione con tutto il corpo, si impegnano a risolvere problemi con il poco che c’è a disposizione o che si può trovare facilmente.
La manualità negli scritti di Levi è un tema ricorrente: dalle esercitazioni di laboratorio nel periodo dell’università, alle sperimentazioni dirette nei laboratori dell’industria, alle abilità esecutive del protagonista montatore (Faussone, in La chiave a stella) supportate dalla capacità del comprendere in modo rapido e sintetico il senso complessivo dell’operazione, con implicito atteggiamento critico rispetto a tante figure di trapezisti nel proprio mestiere, attenti più allo spettacolo che al risultato. Nel Sistema periodico, in particolare nel racconto «Cerio», il lavoro manuale viene descritto e raccontato sullo sfondo di Auschwitz: l’abilità dei due amici-prigionieri Primo e Alberto nel ridurre la sezione dei cilindretti di ferro-cerio, rubati nel laboratorio della fabbrica Buna, lavorando di notte, al buio, in baracca, sotto l’unica coperta in dotazione, così da trasformarli in pietrine per accendini, ottima moneta di scambio per comprare razioni di pane.
Alle mani viene riconosciuta la capacità di contribuire direttamente al pensare, al percepire con tutto il corpo, unità di pensiero e azione.
3. Analisi delle Figure: un altro linguaggio
Un secondo livello d’interpretazione delle Figure è quello esecutivo-costruttivo. Il filo di rame è anche oggetto di lavoro da chimico che studia vernici per l’isolamento, che conosce in modo approfondito le caratteristiche del semilavorato filiforme nelle diverse condizioni di comportamento e, intervenendo sul medesimo, struttura una serie di regole, che diventano linguaggio. Un linguaggio a sé: un linguaggio della materia e, in questa mostra, un linguaggio delle immagini.
La condizione necessaria per l’analisi che segue è stata la disponibilità di fotografie e l’esperienza sviluppata, nel corso di molte collaborazioni, con Pino Dell’Aquila. Con lui, operando in settori diversi, abbiamo considerato la fotografia come strumento, dapprima per imparare a vedere, poi per proseguire nell’indagine con la disponibilità dei documenti necessari. La fotografia deve essere adeguata agli interessi dell’analisi. Prima di fotografare, Pino Dell’Aquila studia i soggetti, architettura antica o moderna, opere d’arte, sino agli oggetti più piccoli; dialoga con chi le dovrà utilizzare e poi quando è entrato nell’opera, e ne ha compresi gli interessi e le finalità, prosegue con le riprese utilizzando le attrezzature e le modalità più opportune. L’esecuzione tecnica è fine ma la sua caratteristica essenziale è il cercare di realizzare documenti utili a proseguire negli studi. Sarebbe riduttivo interpretare le sue fotografie solo per la qualità esecutiva, sempre ineccepibile, e passare sotto silenzio l’interpretazione, finalizzata all’utilizzo delle medesime come strumenti di ricerca, rifuggendo da qualsiasi compiacimento o virtuosismo.
L’esempio riprodotto qui di seguito è esplicito. Se non avessi avuto a disposizione le immagini che seguono, estratte dalle immagini d’insieme delle singole figure, in quella scala, con quella nitidezza e con la possibilità di ulteriori ingrandimenti, non avrei potuto osservare in maniera ravvicinata i particolari e, attraverso questi, cercare d’interpretare le operazioni eseguite da Primo Levi. È stato necessario accostarsi alle figure con la possibilità di vederne i più minuti dettagli, oltre al privilegio di tenere in mano oggetti di tale delicatezza per poterne realizzare l’allestimento. E tuttavia, anche con una lente non sarebbe stato agevole entrare nei dettagli che le fotografie di Pino Dell’Aquila rendono evidenti. Di seguito ne vedremo alcuni esempi notevoli.
4. Il linguaggio del filo metallico
Il linguaggio elaborato da Primo Levi si delinea proseguendo l’analisi per l’appunto linguistica dei segni presenti nelle sue Figure, attraverso le modalità di piegatura e di connessione: piegature descrittive formali, per delineare tridimensionalmente il soggetto; piegature descrittive espressive, minuziose di caratterizzazione; connessioni lasche, con piegatura semplice; connessioni ferme, con ripetizione della piegatura; connessioni strutturali, con deformazione del filo; avvolgimenti complessi a treccia o compatti elaborati per la realizzazione di organi o parti di essi. Connessioni ed avvolgimenti diventano essenziali, descrittivi, e in alcuni casi assumono espressività fisiologica.
Il filo di rame, sotto l’aspetto di bobina, che doveva fare parte dell’ambiente di casa Levi (l’ingegner Cesare, il padre di Primo, lavorava per una industria di Budapest produttrice di motori), divenne più tardi oggetto di studio: di ricerca industriale per Primo Levi nel suo lavoro in fabbrica, che consisteva nel realizzare vernici isolanti. Quello stesso filo che nelle fitte spire della bobina si compatta sino ad apparire un elemento monolitico, svolto dalla bobina riacquista l’aspetto filiforme e si può adoperare come un segno per disegnare forme nello spazio. Una presenza quotidiana che si offre a momenti di apparente evasione, che presto diventa un’attività controllata e motivata, sino a definire un linguaggio vero e proprio, che formalizza regole di connessione tra i fili. La porzione di evasione rimane nella scelta dei soggetti e nel deciderne l’identità formale, mostrando la capacità non trascurabile di conformare una silhouette dei soggetti che risulta immediatamente identificabile. Prevalgono gli animali, formalmente definiti bene con espressività percepibile da diversi punti di vista.
Le Figure vengono realizzate con un unico semilavorato metallico, filiforme di piccola sezione, prevalentemente di rame, disponibile in quanto oggetto di sperimentazione nel laboratorio dell’industria di vernici in cui Levi ha lavorato per quasi trent’anni: la Siva di Settimo Torinese. Prevale l’impiego di un filo di unica sezione e sostanza. In pochi casi (due tra quelli esposti in mostra) viene utilizzato un secondo filo, di sezione inferiore, per un effetto quasi impressionistico.
Queste Figure, così denominate nel lessico di famiglia, e che erano realizzate ed esposte in casa per circondarsi di animali, spesso regalate ad amici, ad una osservazione più attenta svelano consistenza di elaborazione, di coerenza esecutiva, di abilità nella conformazione spaziale dei soggetti, al punto da assumere il significato di un altro campo di esperienza del chimico scrittore. Con questa mostra di inediti, il Centro internazionale di studi Primo Levi rende accessibile una nuova esperienza d’autore integrata da documenti inediti: un dietro le quinte, a sollecitare altre suggestioni ed interpretazioni.
5. Allestimento della mostra
La matrice del progetto di allestimento della mostra proviene dall’analisi delle Figure, dal lavoro svolto con i curatori sin dall’avvio dell’iniziativa, e dall’intenzione di porre il visitatore nella migliore condizione possibile per vederle una per una, in visita individuale, senza distrazioni.
L’oggetto della mostra sono le Figure di Primo Levi, come elementi autonomi da collocare in contesti diversi, pensando ad una mostra itinerante, e a manufatti separati dal contesto specifico del locale della mostra.
L’intendimento del progetto dell’allestimento è stato di riportare le Figure entro quell’atmosfera di speculazione fantastica nella quale sono nate, dunque appendendole in contenitori espositori con luce propria in condizioni di penombra, in modo da vederli singolarmente nella loro lievità. Figure di animali, di personaggi che emergono dall’ambiente culturale scientifico e letterario della sua formazione e si manifestano con qualità formale ed espressiva non da dilettante. Le frasi associate ad ogni figura, scelta dai curatori estraendole da testi di Levi, nella apparente estraneità suggeriscono quella libertà di associazione e d’interpretazione che deve avere praticato durante la loro realizzazione.
L’edizione della mostra nella Centrale dell’Acqua a Milano è significativa per le opere di Primo Levi, che così ritornano in un ambiente di lavoro, in un laboratorio: da Centrale operativa di distribuzione dell’acqua, all’inizio dello scorso secolo, questo luogo si è trasformato in una sede di laboratori rivolti alle scuole di ogni ordine e grado, per comunicare il ruolo che l’oro blu ha nella società e nel mondo intero: una delle risorse da conservare e difendere, uno degli elementi essenziali per la sopravvivenza.
[1] Primo Levi, Ranocchi sulla luna e altri animali, a cura di Ernesto Ferrero, Einaudi, Torino 2014. Il brano proviene dall’articolo Romanzi dettati dai grilli, in L’altrui mestiere (1985), ora nelle Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 2016, vol. II, pp. 851-55, a p. 852.
[2] Si veda Marco Belpoliti, Primo Levi. Zoo delle mie brame, in «La Stampa», 23 novembre 2014.
[3] È il titolo di un manoscritto di Peppino Ortoleva, non ancora pubblicato.